08 agosto 2011

Le origini della crisi economica: la politica monetaria e i mutui subprime



"Gli speculatori possono essere innocui, se sono delle bolle sopra un flusso regolare di intraprese economiche; ma la situazione è seria, se le imprese diventano una bolla sospesa sopra un vortice di speculazioni. Quando l'accumulazione di capitale di un paese diventa il sottoprodotto delle attività di un Casinò, è altamente probabile che le cose vadano male." (John Maynard Keynes)

DESCRIVERE I PROCESSI DEL SISTEMA ECONOMICO di “libero mercato” sembra essere ancora oggi necessario, per acquisire la consapevolezza delle potenzialità destabilizzanti delle politiche economiche interventiste, seguite dalla maggior parte dei paesi cosiddetti “capitalisti”. Sarà pertanto opportuno, attraverso un’analisi logico-deduttiva, descrivere i processi attraverso i quali il fenomeno dell'incontrollata espansione creditizia e quello dell'opportunistica adesione, da parte degli economisti e dei policy maker, al fallace paradigma keynesiano siano alla base di gravi effetti distorsivi sull'economia reale; sulla struttura produttiva, sociale e, in ultima analisi, sulla creazione di ricchezza in seno alla società. 
Uno degli argomenti tralasciati, a torto, nelle analisi delle cause dell'attuale crisi economica è quello del processo di formazione del risparmio e degli investimenti, e quello della re-distribuzione dei redditi. L'obiettivo che intendo raggiungere, è quello di collocare più compiutamente le “cause” e gli “effetti” della crisi. 
Affermare semplicisticamente che la crisi abbia “natura” finanziaria implica che anche il rimedio debba esserlo. Risulta evidente che il successo del “rimedio” dipenderà dalla corretta sistemazione concettuale delle “cause” che hanno determinato gli “squilibri” economici.

L’attuale “crisi inflazionistica” ha rivelato brutalmente come la separazione teorica e concettuale della scienza economica in “micro” e “macro” economia, che fin dagli anni trenta ha fornito il supporto teorico all’interventismo, sia tragicamente e fatalmente inesatta. Fin dai tempi degli economisti classici, la teoria monetaria è sempre stata trattata separatamente rispetto alle analisi concernenti il resto del sistema economico.      
Seguendo le indicazioni del sistema “scientifico” di equazioni simultanee e grafici a disposizione del policy maker, il Governo e le Banche centrali disporrebbero degli strumenti necessari (la politica fiscale e quella monetaria) per abolire facilmente l’inflazione e la recessione. Disporrebbero, cioè, degli strumenti utili a stabilizzare il sistema economico.
Quando l’economia scivola in recessione, al governo non resta che intervenire con opportune politiche fiscali (espansione della spesa) e monetarie (espansione della massa monetaria). Le politiche contrarie andrebbero adottate quando l’economia diventa “inflazionistica”. Cosa fare quando l’economia soffre nello stesso tempo di inflazione e depressione? La teoria “convenzionale” non è in grado di affrontare coerentemente la questione, salvo tentare la costruzione di apposite teorie parziali da un insieme di dati statistici.
Ora, nonostante tassi di interesse reali prossimi allo zero (in alcuni casi negativi), dopo due imponenti manovre di “quantitative easing” (creazione di moneta da parte della Banca Centrale e immissione nel sistema economico attraverso operazioni di acquisto titoli) portate a termine negli Stati Uniti, due nel Regno Unito e quelle Giapponesi, le condizioni del sistema economico non sembrano per niente migliorare. Sembra che il sistema economico si trovi nella “trappola della liquidità” (crisi di fiducia che neutralizza l'influenza della politica monetaria sull'economia reale) teorizzata da Keynes. Seguendo, in linea di principio, gli indirizzi di politica economica di Keynes, questa sarebbe la condizione “ideale” (da manuale, sarebbe anche l'unica) per un massiccio intervento pubblico attraverso politiche fiscali espansive: riduzione del carico fiscale e incremento della spesa pubblica. Ma, a causa dell'insostenibile livello raggiunto dal debito pubblico, tutti i paesi sono (finalmente) impegnati-obbligati in drastiche riduzioni della spesa pubblica, nella riduzione del debito pubblico stesso, e nell'aumento del carico fiscale. Esattamente il contrario di quanto Keynes prescriverebbe. Resta, pertanto, la sola leva monetaria. Dal canto loro, le Banche centrali, negli Stati Uniti e in Europa, hanno già annunciato ulteriori interventi di espansione monetaria. Un paradosso condiviso e sostenuto da tutti: economisti con tanto di premio nobel in bacheca, ministri delle finanze, partiti politici di ogni colore e, naturalmente, i Banchieri centrali. Da più parti, ormai, persa completamente la fiducia nell’economia di mercato, arrivano richieste di un radicale cambiamento in direzione di un’economia collettivizzata.
Lo stato delle cose è, però, insolubile se la teoria economica dominante continua a scambiare le cause con gli effetti. Alla domanda: “da cosa ha origine la crisi?”, la risposta più frequente è: dai mutui subprime. Risposta corretta ma incompleta.

“La teoria è quando si sa tutto e niente funziona. La pratica è quando tutto funziona e nessuno sa il perché. Noi abbiamo messo insieme la teoria e la pratica: non c'è niente che funzioni... e nessuno sa il perché!” (Albert Einstein.)

07 agosto 2011

Le origini della crisi economica: dal Bank Charter Act a Bretton Woods


"La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa". (Karl Marx)

STUDIARE IL CICLO ECONOMICO (ossia i problemi delle espansioni e delle depressioni dell’intero sistema economico), non può certamente prescindere da una valida teoria del ciclo. Perché quest’ultima possa ritenersi soddisfacente, deve necessariamente essere integrabile in una più generale teoria economica. Rifiutare quest’integrazione equivale a rifiutare la stessa scienza economica. A livello scientifico l’unico controllo valido sulla correttezza di una teoria economica sta nella correttezza del ragionamento teorico, ossia nell’esame delle premesse e dello sviluppo del ragionamento logico-deduttivo.

Pertanto, non intendo usare i fatti storici per “testare” la validità della teoria economica adottata. Al contrario, sostengo con forza, che le teorie economiche non possono essere “testate” da alcun fatto storico o statistico.
La teoria economica studia la complessa rete di interazioni umane che culminano nello scambio. Queste interazioni, poste in essere da individui, non possono che essere ricomprese all’interno della più generale teoria dell’azione umana. Di conseguenza, lo studio dell’economia si risolve e deriva dalla libera scelta degli individui.
I fatti storici, in quanto fatti sociali complessi, non possono essere usati per verificare una teoria (come invece accade nel campo della fisica dove i fatti sono controllabili e isolabili nel laboratorio scientifico).
Una moltitudine di fattori causali interagiscono l’uno con l’altro nel determinare i fatti storici. Solo teorie causali a priori rispetto a questi fatti possono essere usate per isolare e identificare gli elementi causali. La circostanza che una teoria sia applicabile o meno ad un certo caso non influisce sulla validità o meno della teoria. L’unico banco di prova, come detto, è la correttezza delle premesse e della catena logico-deduttiva del ragionamento che sviluppa.
Alla ricerca delle cause della crisi economica attuale, cercheremo di analizzare alcuni eventi storici, facendo ampio ricorso agli strumenti messi a disposizione dalla teoria economica generale.
Prendendo in considerazione i movimenti dell’intero sistema economico (e non le fluttuazioni che riguardino uno o più settori) concluderemo che le fasi di espansione e depressione sono necessariamente trasmessi al mercato attraverso il mezzo di scambio generalmente accettato: la moneta. Essa, infatti, costituisce il legame che unisce le diverse attività economiche. In particolare, è l'arbitraria creazione di moneta “virtuale” (con particolare riferimento al credito bancario) e la conseguente "distorsione" delle informazioni (il sistema dei prezzi) vitali per un efficace ed efficiente sviluppo dell'economia di mercato che, privando delle "condizioni di mercato" il sistema c.d. capitalistico, ne crea i presupposti per l’ennesima fase depressiva dalla portata ancora difficilmente valutabile.
Quello cui il mondo assiste in questi giorni ricorda da vicino quanto gli storici ci raccontano della "grande depressione" del 1929. Crollo delle borse mondiali, disoccupazione in costante crescita, sovrapproduzione, default del sistema finanziario e bancario, fallimenti e crisi di aziende del settore industriale. Si moltiplicano gli episodi di disordini sociali e rivolte popolari - nei paesi arabi - e in qualche paese europeo, emergono prepotentemente i segnali di una sempre più fragile coesione sociale e una crescente xenofobia. La crisi dei debiti sovrani è, invece, un elemento di novità, ma la chiave di lettura della fase recessiva del ciclo economico è come sempre la "fiducia". Nel terzo anno successivo all'esplosione della crisi, è diventata convinzione, piuttosto diffusa, che la questione monetaria possa essere trattata separatamente dalla questione economica di ciascun individuo o gruppo sociale. Si considera cioè la moneta, e la gestione monetaria centralizzata, come ambito fondamentalmente neutrale rispetto alle questioni riguardanti la struttura produttiva. A sostenere quest'impostazione è, tra gli altri, la "Moderna Teoria Monetaria", secondo la quale a fronte dell’indefinita possibilità di creazione di moneta dei governi (attraverso le Banche centrali) nessuno Stato potrà mai fallire. La "vera" ricchezza non si crea per decreto o attraverso una scrittura contabile del sistema bancario; se così fosse non esisterebbe alcun problema economico. Se la crisi fosse solo di natura finanziaria, potrebbero bastare le politiche di aggiustamento finanziario che sono già in atto. La ricchezza è il risultato della funzione imprenditoriale, all'interno di una struttura produttiva sostenibile, opportunamente governata e regolamentata, fondata sul risparmio reale. L'utilizzo e la creazione di denaro virtuale a discrezione del "gestore centrale" (l'ultimo organo di "pianificazione centrale" ancora operante nell'economia di mercato) distorce sia il calcolo della misura della ricchezza sia, cosa più importante, la creazione della ricchezza stessa.
"Meno male che la popolazione non capisce il nostro sistema bancario e monetario, perché se lo capisse, credo che prima di domani scoppierebbe una rivoluzione." (Henry Ford)

05 agosto 2011

Economia di mercato e liberalismo liberale



LA MAGGIOR PARTE DEI PAESI AL MONDO sta attraversando da qualche tempo una crisi economica, culturale e morale, di proporzioni gigantesche.
Gli effetti, che la crisi inevitabilmente scarica sulla collettività, impongono una seria riflessione - e un confronto privo di infruttuose polemiche e inutili prese di posizione - sullo stato della teoria economica, e di quella sociale, alla base delle scelte di politica economica e di quelle di organizzazione e di governo della società.
Se il sistema capitalistico moderno è ormai prossimo al collasso, ritengo alta la probabilità che confusione, imprecisioni, conflitti di interesse, inadeguatezza della classe dirigente e del sistema di istruzione, nonché distorte valutazioni e applicazioni dei contributi teorici, possano esserne stati la causa. Allo stesso modo ritengo alta la probabilità che la riorganizzazione delle idee e degli strumenti a disposizione possa, sfruttando il primordiale istinto alla conservazione, condurre l'evoluzione del sistema economico mondiale verso percorsi socialmente più accettabili, rispetto a quelli attualmente intrapresi, e più virtuosi rispetto a quelli attuali.
L’evoluzione di ogni sistema sociale dovrebbe essere indirizzata al raggiungimento di un decente livello di benessere per ogni individuo che vi appartiene e, quando questo livello è abbastanza elevato, all'occupazione delle nostre energie nei campi della vita non attinenti alla sfera economica. Così abbiamo bisogno di ricostruire lentamente il nostro sistema sociale tenendo ben in mente tali finalità.


Non credo nella ‘superiorità’ del Capitalismo, almeno nella configurazione che ha assunto dopo la fine del primo conflitto globale, che ne ha, di fatto, decretato la scomparsa a favore dello Statalismo: è iniquo, anti-sociale, inefficiente e amorale.
Non credo nella superiorità della Democrazia rappresentativa, nella misura in cui pretende di assicurare l’ordine sociale sulla base di un piano, formulato e realizzato da un ceto politico, che si assume essere portatore di un sapere ‘superiore’. Nessun ‘Uomo’, ‘Consiglio’ o ‘Senato’ può dirsi depositario dell’intera conoscenza sociale o di una conoscenza ‘privilegiata e superiore’, che ne assicuri la capacità di direzione dei processi sociali.
Condivido il pensiero di quanti ritengono che il liberismo economico (l'economia di mercato), se sapientemente e accuratamente garantito all'interno di una cornice politica liberale, possa con ogni probabilità diventare il sistema più efficiente fra tutti quelli oggi teorizzati per il conseguimento di fini economici, e quindi sociali. Sono parimenti convinto che le crisi, poiché fenomeni permanenti e strutturali (e non puramente accidentali) dell'attuale sistema pseudo - capitalistico, non siano affatto insanabili, salvo restituire la libertà di azione e la relativa responsabilità delle scelte all’attore economico e sociale. L’uomo.


Si è venuto a creare un clima di diffusa ostilità nei confronti del ‘mercato’. Un clima alimentato da una sorta di collettiva alterazione cognitiva; l’illusoria presunzione di sottoporre tutta la società a un generalizzato dirigismo.
Mi propongo di mostrare la fallacità della credenza comune, secondo cui alla base della crisi ci sia il fallimento del ‘libero mercato’. Sarebbe come ricorrere a una sorta di ‘teoria cospiratoria della società’.

Ritengo che solo la presa di coscienza collettiva del fallimento intellettuale nello studio e nella diffusione della scienza economica e sociale, sia l’unico mezzo attuabile per evitare la distruzione completa dei sistemi economici e sociali esistenti, oltre che condizione necessaria per un funzionamento soddisfacente dell’iniziativa individuale in seno al corpo sociale.
Bisogna evitare di incorrere nello storico e fatale errore di addossare le responsabilità del cattivo funzionamento del sistema economico all’incapacità o all’inadeguatezza della classe dirigente[1] o alle cattive teorie economiche elaborate. Trovo sia bizzarro affermare che gli Stati, e le organizzazioni sociali in genere, siano guidati da sprovveduti o da incapaci. E’ piuttosto vero l’esatto contrario. Lo sforzo maggiore del mondo degli affari e di quello politico è stato, ed è tuttora, concentrato nell’organizzazione e nel controllo della cultura. Lo scopo di questo costante sforzo, consiste nel creare una sorta di ‘confusione intellettuale’ funzionale a favorire e radicare l’inversione delle opinioni comuni, circa gli interessi che sono propri delle classi dirigenti con gli interessi che sono propri della collettività nel suo complesso. E’ possibile ritenere che le proposizioni, le raccomandazioni e i suggerimenti degli intellettuali di tutti i tempi, dediti a fornire un contributo verso la formazione di società libere e sempre più prospere, siano stati opportunisticamente utilizzati in ‘negativo’, per la costruzione di un sistema sociale sempre più subdolamente ridotto alla condizione di ‘schiavitù’ e sempre più povero. La genialità consiste nell’averlo creato, organizzato e gestito con l’ingenuo sostegno popolare. L’ignoranza è il miglior alleato dei sistemi basati sulla coercizione, siano essi guidati da un unico individuo o da un ristretto numero di individui.     


Il compito di ogni persona che senta suo lo status di Cittadino, è quello di partecipare attivamente alla formazione della volontà pubblica, evitando di cadere nello storico errore di delegare la gestione degli affari pubblici ad altri individui, senza fissare preventivamente un quadro ‘costituzionale’ che assicuri forme di partecipazione e controllo sulle responsabilità di scelte distorte dal conflitto, naturale e inevitabile, tra interessi individuali (includendovi quelli di una parte, anche ampia, della collettività) e interessi collettivi. Il nostro problema consisterà, pertanto, nell'elaborazione di un'organizzazione sociale, che sia la più efficiente possibile, tenuto conto del nostro concetto di una condizione di vita soddisfacente.
La domanda che ci porremo, è se siamo pronti ad abbandonare lo stato del Capitalismo assistenzialistico (Statalismo) che ha caratterizzato il XX secolo per entrare in un’era di liberalismo liberale, intenso quale sistema in cui la collettività agisce come comunità organizzata verso interessi comuni, finalizzato alla promozione della giustizia sociale ed economica, rispettando e proteggendo l’individuo nella sua libertà di scelta, nella sua fede, nella sua mentalità, nelle sue espressioni, nel suo spirito d’iniziativa, e nella sua proprietà.